17.3.09

Ciao, vi do il benvenuto alla radio degli emiliano romagnoli, oggi vi racconterò attraverso questa storia di vita come può sopravvivere l’italianità fino alla quarta generazione.
Sono Magalì Pizarro nata a Viedma nella Patagonia Argentina e la mia storia di emigrazione familiare comincia con l’arrivo al mondo, nell’anno 1872, dei protagonisti:
Giovanni Savioli e Adele Magnanelli.
Entrambi nati in una famiglia romagnola, lui a Montescudo e lei a Sassofeltrio, paesini di origine etrusca e successivamente sotto il dominio dei Malatesta e dei Duchi di Urbino.

Paesini di campagna dove vivevano famiglie e persone di origine contadina come loro. Nel 1904, si sono sposati a Montescudo con la benedizione delle loro famiglie, che hanno potuto assistere alla nascita dei loro primi figli: Salvatore, Luigi e Marietta. Quattro anni dopo, hanno deciso di emigrare in America del Sud. Iniziativa che colpì moltissimo le loro famiglie, rimaste sulla collina a salutare con il fazzoletto in mano mentre li vedevano partire in carrozza.

La prima fermata fu Riberao Preto in Brasile, dopo sei mesi di viaggio.
Con tre figli, e in attesa di un quarto, arrivarono a Riberao Preto, dove si misero a lavorare subito nella raccolta del caffè, che in quella parte del Brasile era effettuata in gran parte da manodopera italiana.
Cinque mesi dopo è nata Giuseppina, mia bisnonna, la più piccola della famiglia che accompagnava la mamma a lavorare in campagna, fino a quando i suoi genitori decisero di ripr
endere il viaggio. Giuseppina aveva solo 4 anni.

La seconda e ultima fermata fu Viedma in Rio Negro nella Patagonia Argentina.
Avevano scelto un luogo molto simile a Montescudo, pieno di emigrati romagnoli di origine contadina come loro. Giovanni cominció a lavorare nella campagna di proprietà dei Salesiani, mentre Adele lavorava a casa.
Facendo un’attività di tintoria e dando un’occhiata, nello stesso tempo ai suoi bambini.
In quelli anni, sono nati Giovanni, Sisto, Chela e Rosa, una famiglia quindi molto numerosa con sette figli da accudire.

La vita a Viedma continuava a migliorare, soprattutto dal punto di vista economico, ma non potevano dimenticare le loro famiglie rimaste in Italia.
Adele continuava a scriversi con sua sorella, che abitava in Svizzera con suo figlio maggiore mentre gli altri due erano morti in guerra. Però, Adele, non aveva avuto più notizie di sua mamma, rimasta a Montescudo assieme a suo padre.
La famiglia di Adele, continuava a vivere tra Viedma
in inverno e la Spiaggia della Boca, dove passavano le vacanze estive. La loro casa, una delle prime costruite sul litorale rimane ancora oggi patrimonio storico della zona.

I figli, crebbero. Sisto, diventò sacrestano salesiano e lavorò a Bahia Blanca, assistendo i bambini. Rosa, andò a vivere a Roca, provincia di Rio Negro dove faceva la casalinga. Marietta, se n’è andò a Buenos Aires. Mentre, Giovanni, rimase a Viedma, dove ebbe due figli e lavorava come guardia nel penitenziario. Luigi, diventò prete, e suonava per la chiesa salesiana a Viedma a Bahia Blanca e in Italia. Chela, si stabilì a Puerto Madryn, provincia di Chubut in Patagonia assieme a suo marito che lavorava nel porto, mentre lei faceva l’insegnante. Salvatore, lavorò come contadino a Viedma, assieme a suo padre. Morì di tubercolosi ai 29 anni, fu una grande perdita per la famiglia.

Giuseppina, la quarta dei figli nonché mia bisnonna, si sposò molto giovane. Perciò, suo padre dovette darle il permesso, e siccome non sapeva scrivere in spagnolo, dovette dichiararlo davanti ad un avvocato che firmò per lui. Suo padre, Giovanni Savioli non imparò mai a scrivere e a parlare in spagnolo tantè che pare sia morto dicendo “Argentina terra maledetta” .
Dopo sei mesi dalla sua morte, morì anche Adele di tristezza per la mancanza di suo marito. I figli, rimasti senza genitori, continuarono la loro vita, ognuno lavorando in cose diverse e vivendo in posti lontani da Viedma.

Mia bisnonna, Giuseppina, nata in Brasile, ma ancora molto italiana come tradizioni e cultura (parlava dialetto romagnolo), ebbe un solo bambino, mio nonno: Michele Urrutia, padre di mia mamma.

Mia madre mi ha raccontato tanto su Giuseppina che ho conosciuto pochissimo, perché è morta quando io ero ancora piccola. Purtroppo non ho ricordi precisi mentre avrei voluto conoscerla meglio, poter ascoltare la storia di emigrazione della nostra famiglia dalla sua bocca, di mangiare la pasta fatta in casa come la faceva lei, (mia madre e i suoi fratelli dicono che era buonissima), di ascoltare il suo dialetto romagnolo. E mia madre seguendo le tradizioni di famiglia continua a fare anche lei la pasta fatta in casa, ravioli e tagliatelle che io apprezzo moltissimo, ma che purtroppo non so ancora fare.

Ma, è proprio con questa nostalgia di mia bisnonna e delle tradizioni italiane che ho cominciato a studiare la lingua e ad avvicinarmi all’associazione dell’Emilia Romagna a Viedma per tentare di capire il mondo degli italiani, che sento molto
mio pur essendo argentina.



Ascolta l' audio su RadioER