27.6.11


Durante la puntata di sabato 25 giugno abbiamo parlato del Rapporto Italiani nel Mondo 2011 presentato dalla Fondazione Migrantes lo scorso 21 giugno a Roma. Una ricerca e un libro che dà speciale attenzione all’emigrazione italiana degli anni '80 e '90.
Nel capitolo dedicato all'emigrazione più recente, Michele Colucci, dell’Università della Tuscia, descrive i due decenni del secolo scorso in cui si è assistito alla fine dell’emigrazione di massa; anni, però, in cui le migrazioni hanno ancora "pesato" sugli equilibri del Paese. Colucci spiega come sono cambiate le politiche migratorie, tra vecchie e nuove problematiche, negli anni in cui i rimpatri superavano - a volte – gli espatri e mentre nascevano gli organismi di rappresentanza degli italiani all’estero. 
"Se vogliamo comprendere a fondo le ragioni che hanno portato negli ultimi decenni alla progressiva trasformazione dei fenomeni migratori italiani dobbiamo necessariamente guardare agli anni '80 e '90 del Novecento. Si tratta di un periodo complesso, in cui a fianco a persistenze significative del passato emergono tendenze nuove, destinate sul lungo periodo a cambiare definitivamente il volto dell'emigrazione italiana.
Guardiamo innanzitutto ai dati statistici di cui disponiamo. Nel decennio 1980- 1989 il saldo migratorio è sostanzialmente in pareggio, oscilla infatti tra il valore negativo (1981, 1982, 1984, 1986, 1989) e il valore positivo (1980, 1983, 1985, 1987, 1988) con piccole differenze. Le uniche annate in cui possiamo osservare una tendenza più rilevante sono il 1987 e il 1988, dove la quantità di persone che rimpatriano è sensibilmente superiore a quella di coloro che espatriano. Diciamo quindi che negli anni '80 si conferma quell'andamento discendente dell'emigrazione di massa che già aveva caratterizzato l'Italia dalla metà del decennio precedente. Osservando le principali mete degli espatri, raggruppate per continenti, è immediatamente chiaro che la parte del leone la fa l'Europa, che d'altronde già da un paio di decenni aveva iniziato a prevalere in modo molto netto rispetto alle mete transoceaniche.
La fine dell'emigrazione di massa. L'emigrazione italiana secondo queste statistiche può dirsi un fenomeno ormai quasi concluso nella sua fase di massa, anche se sono diverse decine di migliaia le persone che ogni anno partono per andare a lavorare all'estero: cifre non trascurabili ma molto basse se paragonate soltanto a quelle di 15-20 anni prima. Attenzione, però, a non commettere un errore nel quale spesso sono caduti i commentatori e gli analisti: calo degli espatri non significa automaticamente calo del peso della vicenda migratoria sugli equilibri del paese. Coloro che vivono e lavorano all'estero, infatti, continuano a inviare rimesse in Italia, a rapportarsi alle istituzioni italiane come connazionali espatriati e, insomma, a mantenere un legame più o meno diretto con l'economia e la società italiane. Un legame tra l'altro che, come vedremo, è destinato a evolversi in maniera significativa. Per capire, ad esempio, il peso fondamentale dell'emigrazione sull'economia italiana possiamo citare proprio i dati sulle rimesse.
Nel solo 1984, secondo i dati dell'Ufficio italiano cambi sono 3.864.814 milioni di lire i risparmi inviati in Italia, dieci anni prima (1974) erano 511.931 milioni (Ministero degli affari esteri, Direzione generale emigrazione e affari sociali, Aspetti e problemi dell'emigrazione italiana all'estero nel 7984, Roma 1985).
Dal punto di vista istituzionale, negli anni '80 avvengono alcune modifiche nella legislazione relativa agli italiani all'estero, che sono ben lontane da quelle ampie riforme che nel 1975 avevano auspicato le conclusioni della Prima conferenza nazionale dell'emigrazione ma sono, comunque, degne di segnalazione.
La legge 112 del 1983 ha facilitato l'equipollenza dei titoli di studio, tema più volte segnalato dall'associazionismo fin dagli anni dell'immediato dopoguerra, mentre la legge 82 del 1985 ha esteso ai pensionati residenti all'estero la possibilità di percepire l'indennità integrativa speciale. Alla metà degli anni '80 sono inoltre diventate operative le Consulte regionali per l'emigrazione, organi che nel corso del tempo hanno acquisito molte competenze in campo di politica migratoria.
La svolta nelle politiche migratorie italiane e internazionali avviene però negli anni '90. Prima con la riforma della legge sulla cittadinanza (legge 91/1992), che estende la cittadinanza italiana ai discendenti degli italiani e ridefinisce complessivamente lo "status" dell'italiano all'estero, poi nel 1996 con l'entrata in vigore anche in Italia degli accordi di Schengen che semplificano la libera circolazione nell'Europa comunitaria e rafforzano le disposizioni per controllare i flussi extra-comunitari.
Negli anni '90 il contesto migratorio italiano è notevolmente in trasformazione, non solo perché l'arrivo degli immigrati stranieri modifica sensibilmente il quadro demografico ma anche perché le migrazioni italiane - pur quantitativamente meno rilevanti che in passato - mantengono una vivacità molto interessante da analizzare. I dati statistici ci dicono che il saldo migratorio tra arrivi e partenze dei cittadini italiani è positivo soltanto tra il 1990 e il 1993, mentre nel periodo 1994-1999 il saldo è negativo, perché il numero di italiani segnalati in espatrio è superiore a quelli segnalati al rimpatrio. Certo, la legge sulla cittadinanza del 1992 ha, di fatto, inciso notevolmente in termini di estensione della cittadinanza italiana sui rilevamenti statistici, ma il dinamismo migratorio degli italiani è, comunque, una tendenza ancora presente. Guardando alle destinazioni, l'Europa mantiene il primato come zona di attrazione, anche se si nota un ridimensionamento complessivo dei flussi, mentre i paesi americani, pur restando quantitativamente meno rilevanti, confermano una quantità di italiani in arrivo costante nel corso del decennio, senza cali significativi.

Fonte: AISE.IT